A.S.F.D.
C.F.S.
San Giovanni Gualberto
Riserve Naturali
Raduno Nazionale
Auguri
Giubileo 2000
Iniziative Culturali
la storia Come Iscriversi Notiziario Forestale e Montano Statuto Comunicati Rassegna Stampa Contatti
 
 

CENNI STORICI SULL’ISTITUTO DI SORVEGLIANZA
E CUSTODIA FORESTALE IN ITALIA

La custodia delle selve, in Italia, risale ad epoche remote, ma non sempre – anzi, può dirsi soltanto da circa un secolo – i suoi scopi ebbero di mira il pubblico interesse.

Nell’antica Roma, i primi ad esercitare, direttamente e indirettamente, la custodia dei boschi furono taluni collegi sacerdotali e in particolar modo quello dei “Fratres Arvales”. Come è noto, quest’ordine religioso era preposto alla venerazione delle divinità naturali (Dia – Giano – Cerere, ecc. ma soprattutto di Marte, dio della forza vegetativa (successivamente venerato come dio della guerra), della fecondazione e della primavera (l’anno, allora, si iniziava col mese a lui dedicato: marzo). Gli Arvali – come si è detto – esercitavano la custodia dei boschi sacri essi svolgevano le cerimonie religiose. La loro azione indiretta era dovuta allo stesso culto che officiavano e che rendeva all’opinione, alla credenza del popolo il carattere religioso e sacro dei boschi e degli alberi in genere. Infatti l’ostentareo alboreo (libro dei segni degli alberi, che la tradizione attribuisce a Tarquinio Prisco) classificava gli alberi olimpici, eroici, monumentali, divinizzati, demoniali, infausti, tristi, ferali, felici, ecc.

Per questi motivi e per la scarsità delle popolazioni, durante l’epoca dei re di Roma, nessuna misura, in genere, per la sorveglianza diretta dei boschi venne adottata in forma organica e su larga scala. Sembra che al tempo di Anco Marzio, quarto re, venisse istituita la sorveglianza su quei boschi da cui si traeva il materiale per le costruzioni navali.

In seguito, quando le popolazioni della penisola aumentarono di numero e si elevò il loro grado di civiltà si accrebbero le loro esigenze: allora il culto non fu più sufficiente a proteggere e a salvaguardare il bosco e si dovettero emanare leggi di tutela. I boschi che costeggiavano sorgenti e corsi d’acqua furono posti sotto la diretta sorveglianza di personale all’ uopo assunto (curatores albei); lo Stato e i privati proprietari si trovarono nella necessità di provvedere alla sorveglianza dei loro boschi con un servizio di “guardiatico”. Gli uomini adibiti a tale servizio erano chiamati “saltuarii” (da salutus = selva, bosco, pascolo montano, monte boscato), sia che fossero addetti alla sorveglianza dei boschi e parchi privati che di quelli del demanio cesareo. I “saltuarii” non erano incaricati di alcuna opera di cultura; essi facevano eseguire nei boschi privati le utilizzazioni forestali, regolavano il pascolo fissando ai “villici” il numero dei capi di bestiame che potevano condurre in ogni “salutus” ed erano infine incaricati della repressione dei reati. Nei boschi dello Stato e dell’Imperatore, al di sopra dei “saltuari”erano i “procuratores saltum”. La sorveglianza dei boschi della città e dei municipi era affidata alla corporazione dei “centonarii”, che esercitavano il servizio di sorveglianza a mezzo dei loro “procuratores”.

Dopo la caduta dell’Impero Romano, i governi che si succedettero nella penisola, non curarono i possessi delle foreste, che vennero lasciate nelle mani dei nobili, del clero e dei Comuni. Quindi non si affacciò la necessità di un corpo di sorveglianza forestale.

Nei primi secoli del medio evo, e particolarmente nel periodo barbarico, lo Stato, malamente organizzato, non aveva i mezzi neppure per provvedere alla tutela della sicurezza pubblica e privata; il diritto del più forte prevaleva ad ogni legge; sussistevano, tuttavia, i “missi Judicis” e gli “apparitores”. In seguito, vennero ripristinati i “saltarii”, denominati anche “silvani”o “sylvarii” che erano qualche cosa più delle guardie campestri o boschive; all’ufficio di guardia congiungevano talune facoltà punitive dei reati accertati. Le leggi di Liutprendo li nominavano insieme ai giudici, ai decani, ecc.

In questa epoca barbarica, i principi e i signori costumavano sottrarre all’uso dei privati, non solo i propri boschi, chiudendoli con siepi, ma anche gran parte di quelle selve che erano rimaste di uso comune, invalendo la massima che fosse proprietà del re o del “dominus” ciò che non era di proprietà di nessuno; le selve vennero messe sotto bando e dichiarate “ chiuse” o “ foreste”, più tardi denominate “bandite”, e venivano custodite da uomini dipendenti dal signore della “bandita”. Alla venuta di Carlo Magno in Italia vennero in uso i vocaboli “fresare” (bandiere) e “forestario” (agente boschivo).

Nell’epoca del feudalismo, ciascun feudatario emanava regolamenti locali di polizia forestale e specialmente per quei diritti d’uso che sono tanto antichi quanto sono causa di devastazione dei boschi.

Il feudatario, generalmente, aveva dei guardiani per i suoi boschi, non per la tutela vera e propria del suo patrimonio silvano, ma unicamente per evitare che, con il legnatico o con il pascolo, le popolazioni infastidissero la selvaggina. La pena del capo fu talvolta comminata contro il pastore che si era spinto con il suo armento più in là che si potesse giungere gettando il suo bastone. Il guardiano era costretto a tirare contro il capo del suo figliolo che varcava la zona privilegiata o che infrangeva qualcuno degli articoli delle grida del suo signore. Solo in determinati casi, quando cioè il feudatario poteva esigere un qualche corrispettivo, i suoi guardiani potevano permettere ad estranei certi usi nei boschi.

Il feudatario, generalmente, aveva dei guardiani per i suoi boschi, non per la tutela vera e propria del suo patrimonio silvano, ma unicamente per evitare, che con il legnatico o con il pascolo, le popolazioni infastidissero la selvaggina. La pena del capo fu talvolta comminata contro il pastore che si era spinto con il suo armento più in là che si potesse giungere gettando il suo bastone. Il guardiano era costretto a tirare contro il capo del suo figliolo che varcava la zona privilegiata o che infrangeva qualcuno degli articoli delle grida del suo signore. Solo in determinati casi, quando cioè il feudatario poteva esigere un qualche corrispettivo, i suoi guardiani potevano permettere ad estranei certi usi nei boschi.

Durante l’epoca dei Comuni si ritornò ad un sistema più organico e lungimirante nei riguardi della sorveglianza dei boschi; i “saltuarii” o “camparii” potevano arrestare e redigere verbali, a cui era attribuita forza probatoria.

La parola “guardia” (Vacta, Varda, garda, guardatores) s’incontra nei documenti del medio evo più remoto.

I “saltarii” erano agenti di polizia relativamente numerosi; non erano però salariati stabili; erano agenti eletti tra i cittadini della rappresentanza del Comune. Rimanevano in carica ordinariamente un anno, davano una cauzione e rispondevano dei danni e dei furti ai boschi, dei quali non riuscissero a scoprire e a denunziare gli autori. Si prestava fede alle loro denuncie, e si assegnava ad essi una remunerazione in natura o in danaro, oltre ad una parte del prodotto delle multe.

Quando sorsero le Repubbliche marinare, fu attribuito maggiore importanza alle selve poiché da esse veniva ricavato il legname occorrente per allestire le flotte; le leggi di protezione dei boschi rifiorirono. Venezia, per prima, ne diede luminoso esempio: le sue leggi segnarono un grande progresso nel perfezionamento del regime forestale. Nei primi tempi della Repubblica veneta, furono istituite due categorie di guardiani (guardie) addetti alla custodia dei boschi: i “pubblici”, a cui lo Stato concedeva uno stipendio fisso o il solo usufrutto di terre con casa da abitare; i “comunali”, stipendiati dai comuni. Soppressa la prima categoria in seguito all’attuazione della legge 1452 che addossò ai Comuni l’obbligo di custodire anche i boschi pubblici, rimase quella delle guardie comunali, distinte in “custodi” ed in “guardiani”, ossia saltuarii. I custodi, oltre all’obbligo di sorvegliare i boschi, avevano anche quello di tenere esatto conto dei profitti.

La nomina dei guardiani o “saltuarii” si faceva ogni due o tre anni, a maggioranza di voti, in occasione delle riunioni dei Consigli, ossia delle vicinie comunali. I Comuni dovevano sceglierli tra individui aventi non meno di 30 anni, né più di 60 anni, esclusi i fattori, i gastaldi e tutti coloro che percepivano già un salario. Essi, unitamente ai membri delle rispettive famiglie, godevano l’esenzione personale e reale delle servitù pubbliche, durante il tempo che rimanevano in carica. Ma tale istituzione si rivelò difettosa, sia perché la Guardia forestale comunale doveva sorvegliare i suoi stessi padroni, cioè i comunisti, che erano i privi contravventori, sia perché erano mal pagati.

Quando dalla Repubblica veneta fu istituita la carica di “capitano di bosco”, vennero creati, per la custodia dei boschi, oltre ai saltarii comunali, i cosiddetti “cavalieri”, e in media di sette guardie dette “ufficiali” e volgarmente “sbirri”, perché vestiti alla foggia di questi. Queste guardie, oltre a dirigere e sorvegliare il servizio dei saltari nei boschi, avevano anche il compito accessorio di mantenere l’ordine pubblico. Ognuno di essi aveva la cavalcatura e fruiva di alloggio gratuito, in genere sito ai margini del bosco, e di altri incerti.

Negli altri Stati italiani, nel periodo dal XIII al XVIII secolo, il servizio di sorveglianza considerato il fatto che quei principi nutrivano una smodata passione per la caccia ed emanavano ordinanze rigorose non per l’incolumità dei boschi ma al solo scopo di favorire l’incremento della selvaggina.

Al principio del XIX secolo l’Italia era politicamente suddivisa in vari stati, ciascuno dei quali aveva una propria legislazione forestale e un proprio servizio di sorveglianza e custodia dei boschi.

Nel regno delle due Sicilie, ai primi albori del 1800 si contavano circa 10.000 feudatari, che esercitavano il diritto di caccia e pesca. I soprintendenti alle foreste e alle cacce, che risiedevano in Napoli, non si occupavano che dei regi parchi e delle regie bandite. La mancanza di una adeguata sorveglianza, con elementi idonei, fu causa di grande devastazione ai boschi, dovute principalmente ai pastori, che, per estendere i pascoli, davano fuoco alle selve.

Assunto al trono di Napoli il napoleonide Gioacchino Murat, questi estese al suo regno la legge italica 27 maggio 1811, istituì una Direzione suprema delle foreste, con ramificazioni in tutte le provincie del rame ed aumentò il numero del personale di custodia, che era tuttavia insufficiente e senza preparazione, In seguito agli eventi politici la legge murattiana venne abrogata, ne furono emanate delle altre, ma il servizio di sorveglianza venne poco curato.

Nello Stato pontificio esistevano disposizioni di legge rigorose per la sorveglianza dei boschi. La notificazione del Cardinale Cristalli 1827, fu una delle migliori leggi forestali che fino allora vennero bandite in Italia. Ma in genere, i boschi erano mal governati e ancora peggio custoditi. Nel basso Lazio, in specie, i pastori che d’inverno scendevano dall’Appennino, agivano senza alcun controllo; memorabile fu l’incendio che nel 1820 distrusse la famosa selva di Terracina (in seguito, ricostituita in parte ed oggi foresta demaniale e parco nazionale), che allora si estendeva per una lunghezza di 14 miglia ed era variamente larga.

Nel Granducato di Toscana, regione che ebbe sempre dovizia di foresta, sebbene dal 1400 al 1840, si verificasse una notevole diminuzione di superficie boscata, che si aggirava ad oltre 284.000 ettari, un grave e maggiore colpo fu inferto ai boschi dal Granduca Leopoldo, che abrogò il divieto di disboscare i crinali e le vette dell’Appennino. Ma, oltre a tale dannosa disposizione, i boschi subirono depauperazioni per la negligenza e ignoranza di quelle Guardie Forestali, dalle quali si esigeva un più scrupoloso servizio nelle bandite granducali.

Nel Piemonte, con le regie patenti del 15 ottobre 1822, che riunirono le varie disposizioni esistenti per la conservazione dei boschi in un unico provvedimento, la custodia di questi fu commessa “ai campari” comunali. Successivamente con le regie patenti del 16 gennaio 1825, si provvide alla costituzione di un corpo speciale per la custodia dei boschi con la organizzazione dei guardaboschi comunali, che dipendevano da brigadieri, i quali alla loro volta, erano agli ordini diretti dei sotto-ispettori.

Però, le norme che regolavano il personale di custodia forestale nel Piemonte, fino al 1877, erano quelle delle regie patenti 1 dicembre 1833, emanate da Carlo Albero.

Nelle provincie del Regno Lombardo-Veneto, anche dopo la caduta Napoleonica, il servizio di custodia e sorveglianza forestale, era regolato dalla legge italica 27 marzo 1811, parzialmente modificata da disposizioni posteriori. La custodia dei boschi appartenenti allo Stato, ai Comuni ed ai corpi morali, sia civili che ecclesiastici, era affidata direttamente alle Guardie Forestali, dipendenti dall’Amministrazione forestale. Le stesse guardie esercitavano la sorveglianza anche sui boschi privati, affinché fossero osservate dai proprietari le disposizioni di legge. Se richieste dai proprietari, le guardie estendevano il loro servizio di polizia anche su boschi privati al fine di impedire furto e danneggiamenti; nel qual caso, i privati proprietari avevano diritto di far punire i colpevoli con le stesse riparazioni e multe prescritte per i boschi dello Stato.

Da quanto è stato brevemente accennato, appare evidente che l’istituto delle Guardie Forestali in Italia ebbe poca importanza fin quasi agli ultimi decenni del secolo scorso. Occorreva che il disordine idrogeologico minacciasse gravemente i terreni montani. Fu solo allora che ebbe effettivamente vita, nella penisola politicamente riunita, l’istituto delle Guardie Forestali, a tutela della conservazione e dei miglioramenti dei boschi. Anteriormente, come si è visto, le istituzioni del genere avevano per scopo principale di vigilare contro le infrazioni ai diritti e ai privilegi della caccia, ad eccezione di quelle istituzioni esistenti in alcuni stati, come la Repubblica Veneta. Ma le stessi leggi forestali, miravano, generalmente, più che alla creazione e tutela dei nuovi boschi, alla conservazione di quelli esistenti, e tutt’al più ad impedire il dissodamento dei terreni situati in pendio.

Avvenuta l’unità d’Italia, si dovette necessariamente addivenire, tra l’altro, anche alla unificazione delle varie leggi forestali esistenti nella penisola ed al riordinamento dei servizi forestali nelle varie regioni, compreso quello di sorveglianza dei boschi.

Fino al 1877, la materia forestale fu governata da tante leggi diverse quanti erano gli ex Stati italiani. Gli agenti forestali erano di due specie: le guardie dello Stato e le guardie dei comuni e dei corpi morali. Anche queste ultime dovevano essere nominate od approvate dalle autorità governative; costituivano un solo corpo con le Guardie Forestali dello Stato, dipendevano dall’Amm.ne Forestale, ma erano pagate dai Comuni o dai corpi morali. Le une e le altre facevano parte della forza pubblica ed erano ufficiali di polizia giudiziaria.

Il 20 giugno 1877 venne emanato una nuova legge forestale italiana e con essa fu istituita una nuova categoria di guardie e cioè: il corpo delle guardie incaricate di vigilanza e tutela dei boschi soggetti a vincolo forestale e che venivano pagate dai Comuni e dalle Provincie.

Con Decreto Reale 16 giugno 1878 veniva prescritto che la nomina delle guardie forestali spettasse al Prefetto della Provincia sentito il parere del Comitato Forestale Provinciale.

L’art. 26 della predetta legge stabiliva: “le spese per il mantenimento degli Ufficiali e sorveglianti forestali sono a carico dello Stato. Quelle del solo personale di custodia sono a carico, fino a due terzi dei Comuni interessati, ed il resto della Provincia”. Gli art. 27 e 28: “Le Guardie Forestali sono parificate a guardie doganali…” “Gli Agenti Forestali sono considerati come ufficiali di polizia giudiziaria…”.

Con Decreto Reale 20 dicembre 1877 il ruolo organico del personale di sorveglianza dell’Amministrazione Forestale dello Stato era così stabilito:

- Brigadieri nr. 25; Guardie Forestali nr. 190.

Il personale di custodia, a carico dei comuni e delle Provincie, non aveva organico fisso. Con circolare Ministeriale 5 Marzo 1878, si raccomandava ad ogni Comitato Forestale Provinciale di avanzare all’Autorità Provinciale adeguate proposte per “Proporzionare il numero degli agenti alla estensione dei boschi e dei terreni che debbiansi vigilare e di adattare la misura degli stipendi alle condizioni economiche delle rispettive provincie perché la moralità del servizio rimanga assicurata”.

Oltre ai requisiti morali, fisici e all’istruzione letteraria elementare, nessuna specifica istruzione tecnico-professionale veniva richiesta per la nomina a Guardia Forestale sia dello Stato che dei Comuni.

Non esisteva, quindi, un corpo di sorveglianza e custodia forestale unico, ma un mosaico di corpi provinciali, pure investiti di identiche mansioni dalla medesima legge. Col frazionare il reclutamento, a condizioni diverse, col consentire alle Provincie di fissare stipendi e norme disciplinari varie, si originò la disparità di trattamento verso Agenti incaricati delle stesse funzioni; ne nacque un certo disordine e la legge forestale, non completa per natura, divenne imponente a frenare i dissodamenti e i disboscamenti.

D’altra parte, non poteva essere sufficiente il requisito di saper leggere e scrivere, ma occorreva assicurarsi che l’Agente Forestale non fosse completamente digiuno di nozioni di cultura generale, sulla quale poter poi innestare una adatta cultura professionale.

Sorse quindi l’idea di istituire una Scuola per Guardie Forestali, ma se ne ebbe una prima attuazione solo nel 1880, con un corso trimestrale presso il R. Istituto forestale di Vallombrosa, tenuto dal Prof. Perona, al quale presero parte 19 agenti di varie Provincie. Il Corso fu ripetuto nel 1884 e diede risultati soddisfacenti; tuttavia non fu possibile ripeterlo ancora per varie ragioni, principalmente di indole economica.

Il Ministero non poteva rendere obbligatorio alle Provincie ed ai Comuni l’invio dei loro agenti ai suddetti corsi di istruzione perché non gliene dava forza la legge del 1877, che nessun cenno faceva al riguardo.

Ma la risoluzione di questo importante problema andava maturando. La carenza dei requisiti professionali nelle Guardie Forestali e degli enti locali si accentuava sempre più; man mano che la nuova legge forestale e le successive modifiche e istruzioni ministeriali venivano applicate. I Comitati forestali facevano presente, ad ogni occasione, al Ministero la necessità di colmare questa grande lacuna, che si ripercuoteva negativamente sul servizio espletato dal personale di sorveglianza e custodia.

Nei primi mesi del 1899 l’Ispezione forestale dell’Aquila, sotto la cui giurisdizione ricadeva il comune di Cittaducale, che allora faceva parte della provincia Aquilana, suggerì a quel Comitato forestale di proporre l’istituzione di una Scuola Forestale in detto Comune. Il Comitato forestale di Aquila, nella sua adunanza del 18 aprile 1899, approvò un ordine del giorno, che, fra l’altro diveda: “Considerato che l’impianto di una Scuola forestale potrebbe essere attuato in questa provincia, annoverata fra le più importanti dal lato forestale, e precisamente nel Comune di Cittaducale, sito quasi centrale d’Italia, il quale anche cederebbe gratuitamente i locali occorrenti e somministrerebbe tutto ciò che potrebbe occorrere per l’alloggio e per il mobilio; unanime delibera di prendere atto del progetto di impianto di una Scuola pratica di selvicoltura per le Guardie forestali in Cittaducale… tenendo presente la necessità ed utilità, per il regolare servizio silvano, di avere agenti capaci, di raccomandare caldamente al Ministero di Agricoltura che lo prenda in seria considerazione, perché la Scuola suddetta abbia presto la sua attuazione.”

Successivamente, si interessarono della proposta la deputazione provinciale dell’Aquila ed il Conte Francesco Roselli, originario di Cittaducale e Deputato al Parlamento. Nel frattempo, veniva nominato Ministro dell’Agricoltura l’On. Guido Baccelli, che tanta cura pose alle questioni forestali e che nel 1902 istituì in Italia la Festa degli Alberi. Siccome la maggiore difficoltà per l’istituzione dell’invocata Scuola in Cittaducale era quella di trovare i fondi necessari per arredare i locali messi a disposizione, e per il funzionamento della Scuola stessa, il Ministro Baccelli, nel 1902, stabilì di far concorrere il suo Dicastero nelle spese di impianto e di funzionamento. Contemporaneamente il Ministro, in data 25 gennaio 1902, diramò una circolare a tutti i Prefetti del Regno invitandoli a fare pressioni sulle rispettive amministrazioni provinciali affinché inviassero i propri agenti, a turno, a frequentare la Scuola e concorressero alla spesa della retta annuale fissata per ciascuno agente, in L. 360, -, dato che il concorso di istruzione tecnico-forestale aveva la durata di un anno.

Finalmente, l’8 novembre 1903, venne solennemente inaugurata in Cittaducale, la Scuola pratica di selvicoltura per le Guardie Forestali.

Salvatore Muzzi